Salaam Aleikum è la prima parola che mi accoglie in questo
viaggio. Dopo ore e ore di volo e un paesaggio desertico da togliere il fiato
anche dall’aereo, arrivo finalmente nella capitale ormai in tardo
pomeriggio e sotto i venti sabbiosi dell’harmattan. Il mio vicino di sedile
aereo mi augura una buona permanenza in quella che definisce la città
cosmopolita dell’Africa e mi consiglia di fotografare nella mente quante più
immagini possibili perché, testuali parole, “queste terre assolate e desertiche
sono uniche al mondo”.
Mi preparo a scendere dall’aereo e a fare fronte al forte
sbalzo di temperatura che dai -2 gradi di Bologna mi porta ai 30 gradi secchi
di Niamey.
Mi guardo intorno e mi sento circondata di spazi vasti in
cui i contorni vengono solo delimitati qua e la da arbusti, alberi tipicamente
africani e ogni tanto qualche casetta in fango. This is Africa! Penso e mi
sento allo stesso tempo in preda a mille emozioni.
Dopo 4 anni mi sembra di essere tornata alle origini
dell’umanità; nella terra in cui tutto è nato e dove i nostri antenati hanno
lasciato tracce indelebili.
Ma quello che non posso ancora immaginare è quello che
accadrà nelle ore successive e soprattutto all’accoglienza che mi verrà
riservata.
La prima parola con cui vengo accolta da uno dei mille
funzionari aeroportuali è Salaam Aleikum che significa “La pace sia con te”. Un
buon auspicio, un saluto cortese che da noi ormai non si usa più sentire. Se va
bene in Italia vieni accolto con un “documenti per favore” difficilmente con un
saluto cortese. In Africa Occidentale invece i saluti hanno una grande
importanza e nei villaggi, in particolare,diventano rituali complessi che
possono durare diversi minuti.
“Salaam Aleikum” è un
saluto tradizionale islamico a cui poi seguono domande del tipo “come sta?” o
“come è andato il viaggio?” e a cui per tradizione si è soliti rispondere “Al
humdul’allah” ovvero “Sia ringraziato Allah”.
Ma in Niger , così come in altri paesi africani, è molto
importante anche la stretta di mano preferibilmente debole e non troppo
energica. Alle donne difficilmente è concessa ma nel caso delle donne
occidentali vedo che in realtà, non viene rispettata questa “regola”.
La maggior parte delle persone che sono scese insieme a me a
Niamey sono uomini d’affari e donne legate al mondo della cooperazione e delle
ONG. I turisti sono così pochi da poter essere contati solo su una mano.
Tra controlli e recupero bagagli, l’uscita dall’aeroporto
risulta più lunga del previsto e nel momento in cui finalmente vedo la luce del
sole, vengo assalita da una miriade di bambini che vendono carte telefoniche o
si offrono di portare le valigie. Una stretta al cuore non può che toccare
ognuno di noi.
Monsieur Hambali mi accoglie con un sonoro Salaam Aleikum e
mi accompagna verso il mezzo di trasporto che ci porterà all’Hotel Terminus, un
taxi improvvisato che avrebbe scorrazzato all’impazzata per le strade di Niamey
nella successiva mezzora.
Data la situazione non stabile e la mancanza di posti liberi
nel Centro Aiuto, almeno per le prime tre notti Monsieur Hambali ha preferito
sistemarmi in albergo. Ho a mala pena il tempo di appoggiare i bagagli in
camera che mi viene servito un the caldo e illustrato il programma intenso
della settimana.
L’accoglienza in Africa è sacra e il fatto che dopo quattro
anni sia venuta a trovare un amico e portagli materiale oltre che dargli una
mano al centro, ha attivato così tanto Mohammad che credo non avrò neanche un
momento per respirare e godermi i tempi, in teoria lenti, africani.
La prima avventura ha inizio dopo pochi minuti, a bordo di
una motocicletta da cross, con l’obiettivo di recuperare il cibo per la cena.
Nei mesi scorsi, l’Unicef ha regalato, ad alcune ONG locali un po’ di mezzi di
trasporto per potersi spostare più agevolmente da un villaggio all’altro e tra
le vie caotiche della capitale. Le strade di Niamey sono infatti un gozzoviglio
di auto, motorini, carri di buoi e gente che cammina a piedi senza regole ne
distanze di sicurezza. Riuscire a guidare senza fare incidenti o tirar sotto
qualcuno è davvero un’impresa. Così, visto anche il costo della benzina alle
stelle e i minori consumi, alla tradizionale macchina si preferisce sempre di
più la motocicletta.
E così anche nel nostro caso… Se vogliamo mangiare dobbiamo
andare in cerca di cibo e l’unico modo è salire in moto… e così via che
andiamo, per le strade di Niamey in cerca di carne e pane (“un piatto tipico e facilmente reperibile” mi
dice Mohammad). Dopo aver respirato più
smog che a Milano e più sabbia che nel Sahara arriviamo a un chiosco ai bordi
della strada centrale dei locali della capitale dove tre uomini stanno cuocendo
enormi pezzi di carne su una griglia improvvisata su ceppi di legna. In lingua
haussa Mohamed ordina interi pezzi di carne da asporto e baguette a volontà.
Non capisco praticamente niente se non che uno dei tre proprietari mi chiede se
deve mettere qualcosa dentro al sacchetto da asporto. Come un ebete rimango a
guardarlo e chiedo aiuto a Mohamed che mi spiega che in realtà mi stavano solo
chiedendo se volevo anche il pigmento che vendono per condire la carne… una
polvere per condire le carni molto usata da queste parti che assomiglia al
curry per colore e al peperoncino in quanto “piccantaggine”.
Recuperato il cibo per la serata torniamo verso il centro e
assaporiamo questo piatto tipico di montone alla griglia con pigment e
baguette.
Bon appetit :-)