domenica 22 gennaio 2012

Salaam Aleikum


Salaam Aleikum è la prima parola che mi accoglie in questo viaggio. Dopo ore e ore di volo e un paesaggio desertico da togliere il fiato anche dall’aereo, arrivo finalmente nella capitale ormai in tardo pomeriggio e sotto i venti sabbiosi dell’harmattan. Il mio vicino di sedile aereo mi augura una buona permanenza in quella che definisce la città cosmopolita dell’Africa e mi consiglia di fotografare nella mente quante più immagini possibili perché, testuali parole, “queste terre assolate e desertiche sono uniche al mondo”.
Mi preparo a scendere dall’aereo e a fare fronte al forte sbalzo di temperatura che dai -2 gradi di Bologna mi porta ai 30 gradi secchi di Niamey.
Mi guardo intorno e mi sento circondata di spazi vasti in cui i contorni vengono solo delimitati qua e la da arbusti, alberi tipicamente africani e ogni tanto qualche casetta in fango. This is Africa! Penso e mi sento allo stesso tempo in preda a mille emozioni.
Dopo 4 anni mi sembra di essere tornata alle origini dell’umanità; nella terra in cui tutto è nato e dove i nostri antenati hanno lasciato tracce indelebili.
Ma quello che non posso ancora immaginare è quello che accadrà nelle ore successive e soprattutto all’accoglienza che mi verrà riservata.
La prima parola con cui vengo accolta da uno dei mille funzionari aeroportuali è Salaam Aleikum che significa “La pace sia con te”. Un buon auspicio, un saluto cortese che da noi ormai non si usa più sentire. Se va bene in Italia vieni accolto con un “documenti per favore” difficilmente con un saluto cortese. In Africa Occidentale invece i saluti hanno una grande importanza e nei villaggi, in particolare,diventano rituali complessi che possono durare diversi minuti.
 “Salaam Aleikum” è un saluto tradizionale islamico a cui poi seguono domande del tipo “come sta?” o “come è andato il viaggio?” e a cui per tradizione si è soliti rispondere “Al humdul’allah” ovvero “Sia ringraziato Allah”.
Ma in Niger , così come in altri paesi africani, è molto importante anche la stretta di mano preferibilmente debole e non troppo energica. Alle donne difficilmente è concessa ma nel caso delle donne occidentali vedo che in realtà, non viene rispettata questa “regola”.
La maggior parte delle persone che sono scese insieme a me a Niamey sono uomini d’affari e donne legate al mondo della cooperazione e delle ONG. I turisti sono così pochi da poter essere contati solo su una mano.  
Tra controlli e recupero bagagli, l’uscita dall’aeroporto risulta più lunga del previsto e nel momento in cui finalmente vedo la luce del sole, vengo assalita da una miriade di bambini che vendono carte telefoniche o si offrono di portare le valigie. Una stretta al cuore non può che toccare ognuno di noi.
Monsieur Hambali mi accoglie con un sonoro Salaam Aleikum e mi accompagna verso il mezzo di trasporto che ci porterà all’Hotel Terminus, un taxi improvvisato che avrebbe scorrazzato all’impazzata per le strade di Niamey nella successiva mezzora.
Data la situazione non stabile e la mancanza di posti liberi nel Centro Aiuto, almeno per le prime tre notti Monsieur Hambali ha preferito sistemarmi in albergo. Ho a mala pena il tempo di appoggiare i bagagli in camera che mi viene servito un the caldo e illustrato il programma intenso della settimana.
L’accoglienza in Africa è sacra e il fatto che dopo quattro anni sia venuta a trovare un amico e portagli materiale oltre che dargli una mano al centro, ha attivato così tanto Mohammad che credo non avrò neanche un momento per respirare e godermi i tempi, in teoria lenti, africani.
La prima avventura ha inizio dopo pochi minuti, a bordo di una motocicletta da cross, con l’obiettivo di recuperare il cibo per la cena. Nei mesi scorsi, l’Unicef ha regalato, ad alcune ONG locali un po’ di mezzi di trasporto per potersi spostare più agevolmente da un villaggio all’altro e tra le vie caotiche della capitale. Le strade di Niamey sono infatti un gozzoviglio di auto, motorini, carri di buoi e gente che cammina a piedi senza regole ne distanze di sicurezza. Riuscire a guidare senza fare incidenti o tirar sotto qualcuno è davvero un’impresa. Così, visto anche il costo della benzina alle stelle e i minori consumi, alla tradizionale macchina si preferisce sempre di più la motocicletta.
E così anche nel nostro caso… Se vogliamo mangiare dobbiamo andare in cerca di cibo e l’unico modo è salire in moto… e così via che andiamo, per le strade di Niamey in cerca di carne e pane (“un  piatto tipico e facilmente reperibile” mi dice Mohammad).  Dopo aver respirato più smog che a Milano e più sabbia che nel Sahara arriviamo a un chiosco ai bordi della strada centrale dei locali della capitale dove tre uomini stanno cuocendo enormi pezzi di carne su una griglia improvvisata su ceppi di legna. In lingua haussa Mohamed ordina interi pezzi di carne da asporto e baguette a volontà. Non capisco praticamente niente se non che uno dei tre proprietari mi chiede se deve mettere qualcosa dentro al sacchetto da asporto. Come un ebete rimango a guardarlo e chiedo aiuto a Mohamed che mi spiega che in realtà mi stavano solo chiedendo se volevo anche il pigmento che vendono per condire la carne… una polvere per condire le carni molto usata da queste parti che assomiglia al curry per colore e al peperoncino in quanto “piccantaggine”.
Recuperato il cibo per la serata torniamo verso il centro e assaporiamo questo piatto tipico di montone alla griglia con pigment e baguette.
Bon appetit :-)





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